martedì 4 aprile 2017

Cinque grandi Bordeaux alla prova dei 30-40 anni!


Nella lussuosa cornice del Westin Palace di Milano, AIS Milano ha organizzato due serate particolarmente interessanti, dedicate all'evoluzione dei vini francesi decorsi 30-40 anni dalla vendemmia.
Il 3 aprile scorso, in particolare, è stato il turno dei vini rossi (il 6 giugno toccherà ai bianchi) e, a parte un particolarissimo intruso proveniente dalla Provenza (Vignelaure 1980, sempre e comunque composto da uve cabernet e merlot), si sono confrontati 5 grandi vini di Bordeaux.
Come premessa generale, devo ammettere di nutrire grande fascino per il vino francese in generale (che riconosco superiore ad ogni altra viticoltura mondiale quantomeno per storia, cultura e picchi di eccellenza), ma di avere una certa antipatia per il Bordeaux, soprattutto se confrontato con la Borgogna...
In Borgogna, per esempio, i vini sono conosciuti solo per il terroir ultra specifico, per quel pezzo di vigna con caratteristiche peculiari dal quale provengono, ed infatti le bottiglie sono catalogate per village e climat, venendo in secondo piano il produttore (cd. Domaine).
In Bordeaux, al contrario, esistono potenti Chateau, oggi anche in buona parte di proprietà di assicurazioni e grandi investitori del mondo della finanza, che marchiano il vino da loro prodotto, a prescindere dalla specifica vigna dalla quale l'uva è raccolta...
Anche i vitigni utilizzati in Bordeaux sono i grandi vitigni internazionali (merlot, cabernet sauvignon, cabernet franc) i quali, diciamocelo, danno buoni vini un po' in tutto il mondo, mentre in Borgogna si coltiva solo il pinot nero, vitigno particolarissimo e delicato, che in nessun altro luogo del mondo da risultati paragonabili.
Ancora si potrebbero citare le dimensioni totali coltivate, il numero di bottiglie prodotte, la speculazione sui prezzi delle stesse, ma anche lo stesso landscape a ridosso di un grosso fiume e delle zone quasi paludose ad esso annesse, la stessa presenza di una metropoli nel bel mezzo dei vigneti...
Insomma, per la mia modestissima opinione, la zona di Bordeaux rappresenta "la puzza sotto il naso", è il simbolo di un'enologia moderna fatta più per il mercato che per la qualità del vino, gestita da multinazionali più che da contadini; mentre i cugini borgognotti mi danno l'idea di una cultura più sobria, più contadina, più legata alle tradizioni secolari e più attenta alla qualità del prodotto che al suo posizionamento sul mercato.
Fatta questa noiosa e non richiesta premessa, ieri sera ho bevuto 5 vini interessantissimi, di cui 4 straordinari!
La stessa circostanza di assaggiare bottiglie di quel livello e di annate così risalenti, con possibilità di un confronto diretto e con l'aiuto di un grande esperto (Nicola Bonera) che ce le ha commentate è stata per me un'esperienza estremamente formativa, oltre che goderccia!
Volendo spendere due parole anche sui vini, serviti in modo impeccabile dai sommelier dell'AIS (che hanno stappato - non senza problemi - filtrato, scaraffato, portato a temperatura ideale - mantenuta intorno ai 14° fino al servizio per evitare una eccessiva ossidazione - e servito i vini con professionalità), mi ha stupito innanzitutto la grande complessità ed evoluzione che gli stessi ci hanno regalato; ogni olfazione, ogni giro di bicchiere, ogni sorso, sentivamo profumi e sapori differenti, e mai è emerso un solo difetto.
Il Chateau Tours del Malle 1989 (Graves) (produttore più avvezzo al sauternes) ha regalato piacevoli profumi di zafferano, confermati anche al sorso, ma si è dimostrato l'unico dei 5 ad aver perso quasi tutta la tannicità, la freschezza e la materia. Dopo una mezz'ora dal servizio, poi, ha virato verso toni affumicati non particolarmente gradevoli.
Il Chateau Fonroque 1988 (St. Emilion) e Chateau La Grave 1988 (Pomerol), accomunati da un'annata più ruvida rispetto alle altre, hanno forse proprio per questo mostrato un tannino più pronunciato, associato nel primo caso a intensi profumi di sottobosco (quasi funghi) e nel secondo a note più speziate e forse anche più eleganti. Due grandissimi vini, ancora perfettamente presenti!
Lo scettro del migliore, però, se lo contendono i due vini più rinomati (e costosi), ossia il Chateau Petit Village 1989 (Pomerol) ed il Chateau Leoville Las Cases 1978 (St. Julien).
Entrambe le bottiglie hanno quotazioni considerevoli, che possono arrivare anche oltre le 100-200 euro la bottiglia, a seconda delle annate e del canale di acquisto e rappresentano rispettivamente un'etichetta emergente ed una storica della denominazione.
All'assaggio i vini erano differenti, ma entrambi eccezionali!
Entrambi con colori molto intensi, ed ancora in predominanza rubino.
Il Leoville Las Cases aveva inizialmente una nota vegetale, verde, molto pronunciata, assolutamente insolita in un vino di quasi 40 anni, ed oggi poco di moda, ma che a me è piaciuta molto. Dopo una mezz'ora il profumo si è molto evoluto, passando a note più balsamiche ed a sentori quasi di un amaro alle erbe, più che di un vino. All'assaggio tutti i presenti sono rimasti sorpresi dalla freschezza e dall'equilibrio tra acidità e tannino, ancora entrambi presenti, che hanno reso questo vino interessantissimo, ricco e probabilmente perfetto anche per accompagnare un buon piatto di carne.
Il Petit Village 1989, dal canto suo, mi ha forse dato qualche emozione in meno, anche per gli undici anni di storia regalati al precedente vino, ma devo ammettere che era forse ancora più elegante ed impeccabile dal punto di vista dei profumi e dei sentori gusto-olfattivi.
In conclusione devo dire che, a questi livelli e con queste annate, tutti i discorsi iniziali non hanno avuto alcuna importanza.
Consiglio a tutti di provare esperienze degustative di questo tipo, che sono emozionanti per l'anima ed istruttive per la conoscenza dell'evoluzione del vino, una delle caratteristiche più affascinanti per ogni appassionato.
Ora non vedo l'ora di assaggiare i bianchi!
Stay tuned

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