sabato 27 gennaio 2018

Io Bevo Così 2018


Giunta alla quinta edizione, questa manifestazione incentrata sui vini naturali, nata in terra lecchese, fa un grande salto di qualità approdando nella Milano bene, in particolare nella prestigiosa location dell'Hotel Gallia Excelsior.
L'evento, tenutosi lo scorso lunedì 22.01.2018, era aperto solo a professionisti del settore, così garantendo maggiore facilità di dialogo con i numerosi produttori presenti personalmente ed assaggi più sereni.

Venendo alla mia personale esperienza, ero partito con grandi aspettative relative ad alcune cantine che sono ormai nel gota del vino naturale italiano (Stefano Amerighi, Montisci, Terpin, Collecapretta), alcuni dei quali non avevo mai avuto il piacere di assaggiare.
Alla fine del pomeriggio, però, devo ammettere di aver avuto qualche piccola delusione da questi mostri sacri e di aver trovato maggior soddisfazione da altre aziende.
Partiamo subito con quello che viene considerato l'enfant prodige del vino italiano, produttore in quel di Cortona del miglior syrah d'Italia, ossia Stafano Amerighi: orbene, l'assaggio delle due versioni "base" e "cru" (apice) dell'annata 2014 mi ha mostrato due vini sicuramente molto ben fatti, per forza di cosa ancora giovani, ma senza quella complessità ed eleganza in più che mi sarei aspettato, soprattutto considerando che il secondo vino, per esempio, costa intorno ai 40 euro a bottiglia in enoteca. Gli darò ovviamente molte altre possibilità, ma per me non è stato amore a prima vista.
Un passo in più quanto a struttura avevano i vini di Giovanni Montisci (Mamoiada - NU), specialmente la riserva, ma anche qui, con un prezzo di oltre 50 euro la bottiglia e la fama di miglior Cannonau d'Italia mi sarei aspettato un quid pluris...
Passando a Collecapretta, piccola e storica realtà umbra, il discorso è parzialmente diverso, trattandosi senz'altro di vini già di per sè più semplici (ed economici), ho apprezzato molto il trebbiano macerato "Terra dei preti", meno gli altri 2 bianchi proposti.
Estremi,poi, i bianchi macerati di Franco Terpin, direttamente dal Carso di Gravner & Co.! Se nella ribolla e nel Jakot gli spigoli erano ottimamente integrati con complessità aromatica e nella peculiare mineralità donata dal terroir, il mio giovane palato è ancora poco pronto per vini come il suo pinot grigio o chardonnay, dove, a mio sommesso avviso, la volatile ed i tannini prevalevano sulla godibilità del sorso.
Venendo agli assaggi che più mi hanno colpito ed emozionato, la linea "giovane" di Marina Palusci (Pianella - PE) denominata "Senzaniente" e con bottiglia trasparente è di una bevibilità assassina! La più complessa linea Plenus azzarda qualcosa in più con le macerazioni e l'uso ancor più limitato della solforosa, con ottimi risultati, soprattutto, a mio avviso, nel pecorino e nel montepulciano d'Abruzzo.
Grande sorpresa sono stati, poi, i dolcetto d'Ovada di Cascina Boccaccio, con enorme gap tra il "base", fresco, fruttato e beverino (meglio ancora nella versione senza SO2) e la riserva che strizza l'occhio ai grandi vini da invecchiamento!
Passando alle bollicine, oltre all'insuperabile Champagne BdN di Marc Augustin "Cuvèe CCCI", ottima impressione mi hanno fatto Alessandra Divella (Franciacorta), con dei vini complessi e già relativamente maturi nella versione "base" del BdB dosaggio zero, e soprattutto Castello di Stefanago (Oltrepò).
Quest'ultimo propone degli interessanti spumanti con metodo ancestrale, per esaltare ancora di più terroir e annata, vini veramente speciali ed emozionanti! Anche il suo riesling renano, assaggiato in  verticale dal 2015 al 2010 mi è parso il migliore esempio italiano personalmente provato!
Menzione speciale, infine alla cantina francese Mas des Agrunelles, proveniente da una zona sperduta della Languedoc, che presentava numerose etichette da vitigni autoctoni: il mio preferito è stato senz'altro il Les Hauts de Perry, a base syrah, con avvolgenti sentori di spezie e cioccolato!
Ciò che mi porto a casa è sicuramente un piccolo passo in più nel mondo dei vini naturali, che restano senz'altro la categoria per me più affascinante e dal maggior potenziale espressivo. Certo in alcuni casi i sapori sono un po' estremi e bisogna farci un po' di abitudine, in altri i prezzi seguono l'inevitabile curva della domanda e offerta, ma ormai il mercato è talmente ampio da regalare ad ogni degustazione sorprese nuove e, soprattutto, emozioni che il 90% dei vini tradizionali non riesce a darmi.

domenica 7 gennaio 2018

Confronti vari delle feste (Francia VS Italia and much more...)


Dal 24 dicembre al 7 gennaio ne è passato di vino sotto i ponti, ma diverse peripezie mi hanno impedito di approfondire le singole bevute.
Il vero vantaggio di questi periodi di vacanza e degli infiniti pasti condivisi con numerosi commensali è, però, la possibilità di mettere a confronto diverse bottiglie pregiate, che magari avremmo bevuto da sole in un periodo qualsiasi dell'anno.
E' così che voglio riassumere le mie bevute di queste feste con alcuni spunti di riflessione che mi hanno lasciato alcuni confronti tra vini simili.
La vigilia ed il giorno di Natale, in particolare, abbiamo messo a confronto due bollicine delle Langhe (Metodo Classico Extra Brut di Attilio Ghisolfi e Valentino Brut Zero di Rocche dei Manzoni) con due Champagne (Extra Brut Platine di Nicholas Maillart e Brut Reserve Grand Cru Blanc de Blancs di De Sousa). La fascia di prezzo e la tipologia erano solo relativamente paragonabili (tra i 20 e i 25 per gli italiani, tra i 25 ed i 35 per i cugini d'Oltralpe (franco cantina); tutti BdB tranne il Maillart e tutti tendenzialmente poco o per nulla dosati), ma qualche comune denominatore lo abbiamo trovato. Innanzitutto la bolla, decisamente più fine negli champagne; quanto ai profumi, nonostante l'intensità dei langaroli, i francesi avevano una maggiore complessità; all'assaggio, poi, entrambi gli italiani ci sono apparsi un po' aggressivi su una nota amarognola finale, interessante per gli abbinamenti gastronomici, ma che li ha resi nel complesso un gradino sotto ai cugini quanto a eleganza e piacevolezza.
Altra estemporanea provocazione è stata constatare come un aglianico stagionato (Taurasi Radice di Mastroberardino del 1998), una volta persi per strada i tannini ruspanti, possa umilmente reggere il confronto con i più grandi vini rossi da invecchiamento (nella specie, il comunque irraggiungibile Barolo Vigna Colonnello di Aldo Conterno del 2007, bevuto in magnum).
Durante la vacanza per i giorni di capodanno, poi, abbiamo assaggiato un altro champagne, il Couvèe de Reserve di Christophe Lefevre (100% naturale e socio VinNatur!), BdN a base di pinot meunier, che, oltre ad essere il più riconoscibile tra i tre assaggiati, ci ha veramente entusiasmato per la facilità di beva (e per il prezzo convenientissimo di 18 € in cantina!).
Per le bevute meditative della mezzanotte, poi, ci siamo concessi il lusso di assaggiare un 1er cru di Borgogna, ossia il Mothelie 1er cru Le Clou des Chenes di Eric de Suremain 2010 e, la sera dopo, l'Amarone della Valpolicella Campo Masua di Venturini 2008... Inutile dire che si tratta di vini completamente differenti e di per sè non paragonabili, ma la classe, l'eleganza e la complessità del borgogna (peraltro di un climat non particolarmente pregiato) ci hanno fatto apparire l'ottimo amarone (lui, invece, uno dei più interessanti dell'intera denominazione, a nostro modesto parere), una bomba di frutto e alcool.
Per finire, per la befana, abbiamo provato a mettere a confronto due vini giovani (2015), a base dolcetto, prodotti da due aziende molto differenti, ossia il Dolcetto d'Alba Selectio dell'Azienda Agricola Sobrero Francesco con l'arcinoto Cremes di Gaja. Se è vero che si tratta di due vini giovani, provenienti dalla medesima zona ed entrambi a base dolcetto, oltre alla presenza di una rilevante parte di pinot nero nel Cremes, l'affinamento in legno per 6 mesi ed in generale la filosofia produttiva maniacale di Gaja, hanno reso il confronto non perfetto. Ciò che abbiamo notato, alla cieca, infatti, è la maggiore rotondità, morbidezza, persistenza e complessità del Cremes, mentre il Selectio, oltre ad una nota acida più accentuata, era leggerissimamente mosso. Credo che i 20 euro di differenza tra i due siano anche eccessivi, ma abbiamo avuto una conferma di come da un medesimo vitigno si possano trarre vini parecchio differenti.
Il brainstorming è terminato e, al di là di tante belle bevute, mi sento molto arricchito da questo percorso.
Volendo riassumere in tre punti le mie più importanti impressioni:
1. gli champagne sono eccezionali e i nostri metodo classico, pur apprezzabili, devono ancora colmare il gap, quantomeno in termini di eleganza, complessità e finezza;
2. l'invecchiamento dei vini rossi può essere determinante per saggiarne le reali potenzialità, specialmente per vitigni ostici come l'aglianico (ma anche il nebbiolo);
3. la Borgogna è un mondo infinito, affascinante e tutto da scoprire, ma lo spiraglio di luce che ho intravisto nei rari assaggi che mi sono capitati, lascia preludere che si tratta dei vini più buoni ed eleganti al mondo... Il che è un problema per il portafogli...